In principio era il suono

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Foto di Tatiana Syrikova da Pexels

Nel ventre materno sin dalla 23 settimana iniziamo a percepire i primi rumori: ovattati, quasi indefiniti, nella vita intrauterina accompagnano ogni momento fino alla nascita. Il battito cardiaco ed il respiro della madre, come oceano rassicurante; i suoni esterni consueti, come la voce paterna, o delle figure vicine; la musica lontana e curiosa; i rumori improvvisi da cui il liquido amniotico protegge. Ancor prima di nascere il nostro cervello impara a riconoscere la pulsazione come fondamento, la voce materna come casa, le voci familiari come sicurezza: ancor prima che la vista si apra sulla realtà abbiamo la nostra mappa sonora ad aiutarci nei primi momenti dell’esistenza, a segnalarci le basi della sopravvivenza in un luogo che è totale e terrificante novità.

Veniamo al mondo con un urlo. Un urlo a cui può seguirne un altro, che può sfociare in un pianto disperato o nel silenzio stupito dei primi respiri. Non esistono parole per un neonato: esiste solo il loro suono, la dinamica con la quale vengono pronunciate, il timbro, lo stile che al suono associa la mimica ed il movimento; ed è col suono che il neonato spiega i suoi bisogni ed il suo stato d’animo: dal pianto alla lallazione, dalle grida di eccitazione alla sperimentazione delle superfici e della sua capacità di farle risuonare.

Il bambino apprende la magia del linguaggio solo molto più tardi, quando inizia a rendersi conto che ad ogni cosa corrisponde un suono diverso, ma sempre uguale a se stesso. Quello che bevo quando ho sete si chiama acqua, quella il cui odore mi fa calmare e che mi nutre si chiama mamma, quella cosa che fa “miao” ed è morbida e pelosa si chiama “gatto”. Ma come facciamo a capire e sopratutto cosa dobbiamo capire prima di diventare padroni del complesso e mai univoco mondo dei vocaboli? Dobbiamo capire se siamo al sicuro, se il dolore che sentiamo può essere lenito, se la fame può essere saziata, se attorno a noi tutto va per il verso giusto o se ci sono tensioni, pericoli e più di ogni altro dubbio o terrore dobbiamo avere la certezza di non essere stati abbandonati, di avere ancora qualcuno che si curi di noi.

Lo aveva provato Harry Harlow con il suo eticamente opinabile seppur efficace esperimento “The nature of love”, in cui cuccioli di scimmia macacus rhesus venivano posti dinanzi alla scelta tra nutrimento fornito da una struttura metallica informe e una “madre surrogato” a forma di scimmia, rivestita da un panno caldo e morbido: com’è facile immaginare i piccoli si avvicinavano al panno caldo e si accoccolavano nelle sue vicinanze, ricercando il contatto con qualcosa di vivo, e non soltanto con sostanze rifocillanti. A qualsiasi specie possiamo appartenere, la consapevolezza più importante da raggiungere è quella di non essere lasciati soli e che quella diade madre/bambino, quella triade madre/padre/bambino, quel nucleo non venga scalfito, non si perda, non perda il suo potere di tutelare, scaldare, rasserenare.

Come ci giunge questa informazione che da appena nati ricerchiamo continuamente? Proprio con il suono. Un tono di voce calmo e dolce ci racconterà che non c’è nulla da temere, una sfuriata disattenta ci metterà in allarme, una filastrocca ci stimolerà incantandoci, il silenzio totale ci spaventerà. Le pietre fondanti della nostra emotività, della percezione delle qualità affettive delle relazioni che ci coinvolgono sono dunque di natura acustica.

Ecco perché diviene essenziale rapportarsi con il neonato prima e col bambino poi, facendo molta attenzione alle modalità con le quali gestiamo i suoni quotidiani: se è nostra abitudine infatti parlare ad alta voce e con grande enfasi, sbattere porte ed oggetti con veemenza, è facile ipotizzare che venga percepita come normale una dinamica sonora piuttosto intensa, senza che possa essere alternata a dei lunghi momenti tranquilli in cui l’ascolto reciproco sia facilitato da volumi bassi e timbri meno invadenti. Di conseguenza il bambino per attirare l’attenzione potrebbe essere condotto ad utilizzare intensità ancora maggiori rispetto a quelle abituali, rischiando di nuocere alla propria salute, nonché di contribuire al caos già regnante nel suo ambiente; o viceversa soverchiato dal fortissimo imperante tra le mura domestiche potrebbe essere ridotto al silenzio dell’incomunicabilità.

Per non parlare poi del motherese o baby talk, il magico linguaggio tra il bimbo e chi si prende cura di lui, fatto di versi, vocalizzazioni, temi e variazioni, in cui le altezze del suono, accostate alle espressioni del volto ed ai movimenti delle mani, sono così naturalmente dirette ad inscenare la vastità del mondo emotivo. Proviamo ad immaginarci nei nostri atteggiamenti con un cucciolo, che sia di uomo o di altre specie: la nostra voce inevitabilmente cambia, il nostro viso esprime più nettamente l’allegria, il broncio, la tristezza o l’eccitazione, la prosodia del linguaggio parlato (la sua musica, per intenderci) è più accentuata, come se fossimo degli attori della commedia dell’arte intenti a spiegare che suono faccia l’essere felici, malinconici, arrabbiati.

Se comprendessimo fino in fondo quanto la musica dietro alle parole sia cardinale per comunicare con maggiore genuinità e precisione ciò che proviamo, consci del potere di influenzare l’emotività altrui proprio come se stessimo suonando una melodia, anche il nostro relazionarci tra adulti sarebbe facilitato e meno in balia del caso, articolato in escalation di crescendo tra le cui righe sembra si parlino lingue diverse ed incomprensibili pur stando nella stessa stanza.

Su questo e sul valore del suono nello sviluppo emotivo-affettivo dell’essere umano, verte un incontro che a cadenza semestrale conduco presso lo Spazio 0-1 del Centro Infanzia Clara e Guido Ferro di Padova: una mattinata in compagnia di mamme incinte e neomamme in cui riflettere assieme con le parole e con semplici esempi pratici su quanto in realtà siamo fatti di musica.

Grazie all’interessamento della dott.ssa Alessandra Bocchio Chiavetto, che articola in collaborazione con la dott.ssa Alessandra Papaleo un’offerta gratuita per le famiglie dalla nutrizione, alla pedagogia, dalla psicologia dell’età evolutiva, alla letteratura per l’infanzia, dai suggerimenti per il gioco alla musica, è stato possibile organizzare questo appuntamento che contribuisce ogni volta a farmi crescere come professionista, ma anche e soprattutto come essere umano.

Vedere negli occhi delle mamme e dei loro piccoli lo stupore nella rivelazione del naturale stato delle cose sonoro-musicali, spingerle oltre la timidezza che il gruppo suscita, per sperimentarsi nel canto e nell’improvvisazione, condurle in un seppur breve viaggio tra le note della propria emotività, nell’invito ad interrogarsi sempre e comunque sul proprio stato interiore, gestendolo anche grazie alla musica, è un germoglio di cambiamento che mi fa confidare in un futuro con più consapevolezza e maggiore capacità di gestione delle proprie dinamiche emotivo affettive, alla ricerca di quella sintonizzazione che è la vera e sola radice del contatto tra esseri senzienti.

Ascoltarsi, ascoltare, lasciarsi invadere dal suono dell’altro, cogliendone le caratteristiche profonde, al di là di ciò che sta pronunciando e replicare tentando di inserirsi nel flusso sonoro conducendolo su lidi di quiete in cui ognuno sia libero di esprimersi ed essere accolto e perché no anche guidato.

L’esperienza con le mamme ed i bimbi dello Spazio 0-1, che mi regala sempre grande vitalità e determinazione, mi ha insegnato che il percorso evolutivo del bambino, in cui il suono come abbiamo visto è fondamentale, può consegnarci una elementare seppur indispensabile cartina geografica per esplorare le relazioni tra adulti. Non sottovalutiamo il potere della musica nei nostri rapporti: e con musica intendo non solo quella riprodotta dai nostri ormai onnipresenti dispositivi, ma quella suonata insieme, nelle pieghe di un “Come stai?” e tra le lettere di un “Non bene purtroppo”. Più studieremo per divenire bravi musicisti della relazione, più riusciremo a comprendere l’altro e sentirci compresi, come accade nell’incanto senza parole della triade familiare dove ogni cosa è detta oltre ogni lingua.

Bibliografia

DiPietro, J. A., Costigan, K. A., Voegtline, K. M. (2015), Studies in Fetal Behavior: Revisited, Renewed, and Reimagined, Monogr Soc Res Child Dev. 2015 Sep; 80(3): vii–vii94.

Dissanayake, E. (2004), Motherese is but one part of a ritualized, multimodal,temporally organized, affiliative interaction, Behavioural and Brain Sciences, 2004, Vol. 27(4): 512-513.

Gerhardt K. J., Abrams R. M. (2000), Fetal Exposures to Sound and Vibroacoustic Stimulation, Journal of Perinatology, 2000, 20:S20±S29.

Harlow, H. F. (1958), The nature of love, American Psychologist, 13(12), 673–685.

Suomi, S. J., Leroy, H. A. (1982), “In memoriam: Harry F. Harlow (1905–1981)”, American Journal of Primatology. 2 (4): 319–342.

Trevarthen, C. (2017), Maternal voice and communicative musicality: Sharing the meaning of life from before birth, in M. Filippa, P. Kuhn, & B. Westrup (Eds.), Early vocal contact and preterm infant brain development: Bridging the gaps between research and practice, Springer International Publishing, (p. 3-23)

Amelia Mastrodonato

Amelia Mastrodonato nasce nel 1987 in Puglia, di cui si porta dentro la terra ed il mare. Ha sempre adorato la musica, tanto da esserne dipendente e presso l'Università degli Studi di Padova si è innamorata anche della filosofia ed ha deciso di coniugare le due passioni, diventando filosofa della musica. Quando ha scoperto l'esistenza di persone che si prendono cura degli altri con all'arte del suono, ha subito intrapreso gli studi in musicoterapia. Insegna follemente propedeutica musicale ai bimbi. Segue il percorso quadriennale per il Diploma in Canto moderno presso l'Accademia Lizard, disegna, segue l'orto, è patita di disegno, pittura e fotografia, si diletta in lavori di sartoria, muratura, falegnameria e carpenteria pesante. E' accumulatrice seriale di libri e vinili.

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