El Fero da Segare

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Falce, incudine e martello, due o tre estati fa.

In Veneto si prendono le cose di petto: da noi l’erba non si “taglia”, ma si “sega”, direttamente, senza mezze misure e per farlo si usa appunto il “fero da segare“, l’oggetto che quasi in ogni altrove è noto come “falce“.

Nel mio precedente articolo mi sono occupato di un arnese piuttosto comune, il computer. Un oggetto traboccante di elettronica e piuttosto complesso. Eppure il Raspberry Pi 400, appunto l’elaboratore che abbiamo visto, presenta qualche interessante aspetto concettuale in comune con quest’altro oggetto, sicuramente meno complesso, ma francamente forse addirittura più affascinante.

Tagliare l’erba è una attività ritenuta generalmente piuttosto noiosa, solitamente riservata al sesso maschile e solitamente affrontata da questo con sonori sbuffi, imprecazioni e mediante l’utilizzo di arnesi sempre più complicati (e costosi): decespugliatore, tosaerba e, nei casi più gravi, per estensione dell’appezzamento da lavorare o per livello di esaurimento dell’operatore, mini-trattore dal costo paragonabile a quello di una ancor dignitosa utilitaria usata.

Il mio primo contatto con una falce è avvenuto circa 4 anni or sono: per l’occasione la montai con un manico al contrario e, nella mia fantasiosa foga popolata da divinità nordiche, in cui l’agitavo come per sterminare l’erba e non solo per accorciarla un po’, mi procurai le più esemplari vesciche che le mie mani abbiano mai patito.

Giunse quindi il momento di riflettere: perché volevo usare una falce, nell’era dei computer?

Le risposte che mi diedi furono essenzialmente due: non volevo disperdere in natura il filo di plastica del decespugliatore (elettrico, per non utilizzare anche nel taglio dell’erba benzina ed olio) e non volevo vivere quelle ore trasportando un attrezzo, nemmeno troppo leggero, che facesse il lavoro al posto mio. In realtà però la questione si era nel tempo animata ulteriormente, visto che avevo notato come il taglio con il decespugliatore di fatto “tritasse” l’erba, uccidendo buona parte di tutto ciò che tra i verdi fili viveva: gli insetti.

Forte di queste motivazioni e della sensazione (reale) che falciare di fatto facesse bene al mio fisico, mi decisi, nell’impossibilità di trovare qualcuno che potesse insegnarmi, ad acquistare un libro, “The Scythe Book“, di David Tresemer. Ironicamente, si tratta di un testo scritto da un americano che ha imparato tutto sulla falce in Austria: quindi io, veneto (ed il Veneto confina con l’Austria), mi facevo arrivare un testo dagli Stati Uniti con un processo di spedizione di due settimane per avere informazioni comunicate originariamente proprio a due ore d’auto da dove abito. Ironico ma a quanto pare necessario, visto che all’epoca non avevo altra scelta.

Ogni volta che vedo questa copertina mi ricordo bene la sensazione di essermi trovato innanzi ad una sorta di libro sacro. Ciascuna pagina parla della falce come merita, cioè come di una invenzione che ha rivoluzionato l’agricoltura.

Eppure vi è molto di più. Qualsivoglia mezzo meccanico elettrico od a motore possiate utilizzare per il taglio dell’erba, questo vi ruberà una cosa molto preziosa che non ha a mio avviso senso barattare per la minore fatica: il silenzio.

Vi è qualcosa che lega in modo intimo la meditazione e l’uso della falce. Una volta apprese le regole (ed il processo è tutto fuorché banale), una volta interiorizzate le regole, una volta che il vostro movimento sarà divenuto “le regole”, allora, in modo molto simile a quanto si può dire relativamente alla cerimonia del tè in Giappone, non sarà più la falce a tagliare: a farlo sarà la vostra mente.

La falce è semplicemente un’asta con due manici a cui è attaccata saldamente una lunga lama. Le aste al giorno d’oggi sono di metallo leggero, ben bilanciate, mentre una volta erano di legno. I manici sono uno alla fine dell’asta ed uno, regolabile, è posto circa a metà della stessa: il primo, nel caso di un destrimane, è impugnato dalla mano sinistra, il secondo dalla destra. Il movimento è lento, cadenzato, regolare. Come nelle arti marziali ciò che conta è il movimento del bacino e non solamente la forza delle braccia le quali anzi si limitano solamente a portare lo strumento, a condurlo sul terreno, da destra a sinistra, disegnando un semicerchio alla fine del quale si sommano gli steli appena tagliati.

L’affilatura della falce è un’arte a sé stante e si compone di due fasi ben distinte. La prima è la battitura: la lama viene passata su di una incudine sottile, che si soleva infiggere nel terreno od in un pezzo di legno adeguatamente grande e pesante. La lama, colpita con un piccolo martello che mi ha sempre fatto pensare a quello creato dai nani per il dio Thor, il Mjöllnir, viene di fatto quasi “forgiata a freddo” e questo processo serve ad assottigliarne il filo, rendendo più facile e duratura l’affilatura a mano.

La battitura è affar serio e serve una mano esperta: un tempo vi erano pochi od anche un solo battitore, il quale si occupava, ad inizio giornata, di preparare le falci di tutto il gruppo di lavoro. Il secondo momento, imprescindibile, è l’affilatura con la pria, una pietra porosa portata in vita, appesa alla cinta od assicurata ad uno spago, all’interno di un corno o di un contenitore apposito, di legno o ferro, comunque riempito d’acqua. La pria viene passata sulla lama con gesti eleganti e rapidi, seguendo due diverse inclinazioni, a seconda che si stia trattando la parte esterna o quella interna della lama, quindi la pietra viene immersa nuovamente nell’acqua, dove le sue porosità possono liberarsi della limatura di ferro e tornare in questo modo più abrasive.

Silenzio. Una lama della lunghezza corretta rispetto a ciò che si deve tagliare (60 cm. per erba mista in condizioni normali, più lunga per erba dal fusto morbido e senza problemi di spazio, più corta per ramoscelli od erba particolarmente resistente) può regalare grandi soddisfazioni.

Un pendente a forma di Mjollnir, il “frantumatore”, martello del dio del fulmine, Thor.

Lo sfalcio, ordinatamente accumulato alla vostra sinistra, si fa passo dopo passo più lungo e, se accuratamente sparso con l’aiuto di un rastrello ed asciugato al sole, potrà divenire morbida paglia per la pacciamatura dell’orto o per fare giocare i bambini.

Un passo dopo l’altro. Davanti vi è il piede destro e dopo ogni movimento avanziamo di poco, quel tanto che basta a tagliare nuovi steli, i quali non vengono distrutti e macinati, ma quasi colti ed accompagnati a sinistra. Avanziamo di poco: se si ha fretta ed i movimenti in avanti si faranno più marcati, si finirà per non tagliare bene, impiegando molto più tempo. Se una mente vuota e presente sta falciando, nessuna fretta potrà farle perdere nemmeno un secondo più del necessario. Un esempio importante che ci porta a considerare ogni nostra azione compiuta sotto stress, durante la vita di tutti i giorni.

Vita. Gli insetti sono salvi e, con un po’ di allenamento, possiamo scegliere quale stelo tagliare, lasciando intatti i fiori che reputeremo ancora utili al nostro giardino. Si può tranquillamente falciare mentre le api sono al lavoro, senza turbare loro o minacciare i fiori dei quali si stanno nutrendo. A mio avviso si tratta di un vantaggio inestimabile, che differenzia la falce rispetto ad ogni altro metodo di taglio dell’erba.

Sudore. Senza dubbio, ma anche la sensazione netta che alcuni passaggi, i quali risulterebbero complessi anche per un decespugliatore, vengono risolti dalla falce mossa da mani esperte in un solo movimento. Vi lascio un video quasi ipnotico, sperando di avere suscitato in voi la curiosità per un’arte antica ed affascinante, un gesto che non ha bisogno di olio, benzina o plastica e che può aiutare il vostro corpo, la vostra mente ed i molti piccoli abitanti dei nostri prati.

Come nelle arti marziali, a determinare la riuscita dell’azione non è la forza fisica, ma l’armonia del movimento.

Daniele Rostellato

Daniele Rostellato, psicologo e specializzando in psicoterapia, nasce a Padova nel 1975 e proprio presso l’Ateneo Patavino completa gli studi in filosofia della mente ed in psicologia cognitiva applicata. Si dedica da oltre quindici anni allo studio della filosofia buddhista, in particolare Chan e Zen, e si interessa al problema mente-cervello. Negli ultimi tre anni è stato impegnato nella sperimentazione scientifica in ospedale di Filosofia Clinica, il metodo che ha sviluppato. Coltiva la terra, suona la chitarra ed ama osservare le stelle.

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