Verso un’educazione dialogica

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Henri Matisse (1910) – La Danse (II versione) – Olio su tela – Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo

L’educazione riguarda tutti, è un’esperienza costitutiva dell’essere umano, che viviamo in vari ambiti come ad esempio in famiglia e a scuola.

Tuttavia possiamo concordare che non tutte le esperienze che facciamo siano di fatto educative, cioè generative: l’educazione presuppone ci sia un’interazione tra persone e a fare la differenza è il modo di porsi, è l’atteggiamento con cui ci rivolgiamo all’Altro.

Martin Buber filosofo,teologo e pedagogista austriaco sostiene che la relazione interpersonale più autentica sia quella dialogica, caratterizzata dall’apertura al dialogo, dalla parola pensata, dall’ascolto, dalla messa in discussione delle conoscenze precedenti e delle solite routine interpretative. La relazione dialogica si compie nella diade Io-Tu; due soggetti differenti e unici che si riconoscono l’un l’altro pari dignità, quindi capaci di educarsi reciprocamente. Buber distingue la coppia Io-Tu dalla diade Io-Esso, secondo la quale si crea un altro tipo di interazione: un Io che fa esperienza dell’Altro come oggetto.

Obiettivo della relazione dialogica è la conoscenza, il cambiamento, il processo di trasformazione, scopo ultimo anche dell’educazione. Si arriva ad una conoscenza nuova mettendo in comune diversi punti di vista o meglio ancora diversi punti di percezione e per far questo serve attivare i sensi che abbiamo a disposizione. Conoscere ed educare ha a che fare con la polisensorialità.

In una relazione educativa il corpo è importante, siamo corpi che si muovono, siamo corpi che comunicano; infatti Gregory Bateson ci ricorda l’impossibilità di non comunicare: qualsiasi comportamento quando interagiamo con gli altri comunica qualcosa. Pertanto è utile aprirsi all’ascolto e cercare di dare risposta anche a tutta quella sfera di comunicazione involontaria.

Francois Delsarte estetologo, insegnante di canto e recitazione, già nell’Ottocento ha evidenziato la significatività del movimento corporeo: ogni gesto compiuto,è puro, se quello che vedo esteriormente nella dinamica corporea è in sintonia con la sfera dell’interiorità.

Oggi invece nella nostra quotidianità troviamo vari esempi di gesti e comportamenti che sono lontani dalla natura umana: sono poco umanizzanti perché sono fatti per rispondere a delle prescrizioni a rispettare le norme di una sistema, sono fatti per abitudine, sono privi di consapevolezza.

Se andiamo ad analizzare l’organizzazione dei nostri sistemi educativi e scolastici possiamo notare che per la maggior parte di loro sono costruiti per promuovere e diffondere un’educazione che Paulo Freire chiama “depositaria”, in cui c’è un educatore totalmente separato dall’educando, che detiene la verità e che interagisce con l’altro riducendolo ad oggetto, a contenitore da riempire con una moltitudine di nozioni. L’interazione che qui si compie è quella che si instaura nella coppia buberiana Io- Esso, caratterizzata dalla chiusura, dalla dominazione e imposizione nella quale sirichiede solo di capire e prendere a-priori quello che ci viene detto, cioè compiere un’ esperienza senza costruire una relazione.

Perchè si educa? Si educa per renderci più umani, consapevoli, predisposti all’incontro: ognuno si deve avvicinare gradualmente alla propria natura, l’educazione è creativa e non è un processo identico per tutti, stabile. L’educazione ha a che fare con il movimento con l’andare. Come educatrice sento la necessità di continuare il mio percorso educativo attraverso la relazione con gli altri, secondo un duplice movimento di apertura e di centratura, quindi sentire e comprendere anche le emozioni che provo di fronte all’Altro.

Auspico un giorno di saper provocare in un educando un’esperienza sensoriale simile a quella che io talvolta sento quando vado ad uno spettacolo teatrale o di danza: mi accorgo che rivolgo la mia attenzione al movimento corporeo, alla mimica facciale , ai gesti più che alla storia narrata e sento muovere la pancia: i sensi si dilatano, mi stupisco,mi diverto. In quei danzatori e attori io vedo un allenamento, un percorso di consapevolezza di sé e della situazione tanto da saper esprimere energia, qualcosa che va oltre la parola. Realizzano qualcosa di Bello insieme proprio come deve essere in una la relazione educativa: se ci pensiamo essa può configurarsi in una danza in cui i danzatori insieme trovano un ritmo capace di bilanciare il tempo naturale di ognuno con il tempo sociale. La disarmonia di questi due tempi provoca invece un impedimento allo sviluppo personale.

Per concludere vorrei fare riferimento al periodo attuale di pandemia prolungata dove la scuola ha dovuto riorganizzarsi attraverso l’uso della tecnologia, per attivare la didattica a distanza, un efficace strumento se utilizzato per un breve periodo di emergenza sanitaria, ma tanto lontano da un’educazione di stile dialogico. Manca la corporeità, la tridimensionalità: i bambini e i ragazzi d’oggi fruiscono di un’ immagine su di uno schermo, manca tutto l’aspetto relazionale- sensoriale, si richiede l’attivazione al più dei sensi della vista e dell’udito proprio come nell’educazione depositaria resa anche questa difficile dato che con un clic possiamo escludere l’audio o l’immagine riprodotta sullo schermo. Provare a fare educazione e didattica a distanza per un tempo così prolungato sta di fatto provocando un vuoto educativo e formativo.

Questa è la prova che la rivoluzione scolastica ed educativa non passa attraverso l’uso obbligato e diffuso della tecnologia, ma diffondendo un’educazione di stile dialogale. Ciò richiede tempo, la riorganizzazione degli ambienti, una valutazione diversa dei programmi educativi non come qualcosa da seguire pedissequamente, ma come una guida che si osserva durante il processo educativo, che deve necessariamente tenere conto degli interessi dei ragazzi. Per fare eduzione bisogna certo seguire delle regole, ma bisogna essere anche pronti e abili a romperle.

Bibliografia

Freire, P. (1974), La pedagogia degli opressi, a cura di L. Bimbi, Arnoldo Mondadori Editore, Verona

La Mendola, S. (2013), Centrato e aperto, dare vita a interviste dialogiche, Utet Università, Torino Milan, G. (1994), Educare all’incontro, la pedagogia di Martin Buber, Città nuova editrice, Roma

Shawn, T.(2018), Ogni più piccolo movimento.Francois Delsarte e la danza, a cura di E. Randi, Dino Aduino editore, Roma

Gilda Chemello

Gilda Chemello nasce a Marostica nel 1990, dopo aver partecipato con curiosità ed entusiasmo ad un progetto promosso dalle scuole elementari e da un centro diurno per persone con disabilità della sua zona, ha saputo finalmente rispondere alla tipica domanda che le veniva posta dal mondo degli adulti: “Cosa vuoi fare da grande?” L’educatrice. Idea che ha cercato di concretizzare anni dopo laureandosi in Scienze dell’educazione e della formazione presso l’Università di Padova. Ora, presso lo stesso Ateneo, frequenta il corso magistrale di Culture, formazione e società globale. Ama vivere in mezzo alla campagna tra fiori, piante e animali dolcissimi. Cucinare e creare delle piccole meraviglie con materiali di vario tipo, sono i suoi passatempi preferiti.

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