Gentilezza

(immagine realizzata da una utente Anffas, Centro Diurno Iris)
immagine realizzata da una utente Anffas, Centro Diurno Iris

Entro a scuola alle ore 9.00, si conclude la lezione della prima ora, resta poco tempo…

Oggi, 13 novembre, è la giornata mondiale della gentilezza… pochi minuti, un foglio e tante parole sull’albero della gentilezza da leggere e colorare in velocità.

Partiamo da me: se penso a “gentilezza” che cosa sento e vedo? Subito mi viene in mente la locuzione note a margine: “un’indispensabile rottura” penso, e poi immagino una persona in particolare, spero sempre che tanti l’abbiano conosciuto, si chiamava Giorgio Maria Ferlini.

Non ho testi, citazioni, registrazioni e nemmeno appunti che mi parlino degli incontri avvenuti ormai circa sette anni fa ai Carichi Sospesi: sabati pomeriggio estivi passati ad un ciclo di lezioni di Psicopatologia psicoanalitica e fenomenologica. Ma mi sono ricordata che un po’ di tempo fa ho scritto queste parole pensando proprio a quest’uomo:


Tenerezza immutabile
Delicata opera di tenerezza
Sangue di noi visionari
Ti chiedo ancora di vegliare alle porte del sonno
Accarezzare il rilievo dei miei affanni
Non attraversarmi adesso
Dimmi che non si muore soli
Nell’ora senza sorelle
Dammi ago e filo
Per l’arrogante sole di domattina
Legami solidi per un nuovo maremoto
Bolle di sapone tra corde di violino.


Indiscutibilmente ciò che è gentilezza si lega ad un contesto storico culturale preciso ed assieme alla sfera dei valori del singolo, carica di significazioni, che abbracciano la storia della persona intessuta dei ruoli che indossa, caratterizzandosi come un politeismo di valori (Zamperini, Menegatto; 2011).

Gentilezza, al di là del puro nozionismo e lontana da concetti astratti o prefabbricati dall’alto, è una parola che negli adeguati contesti permette di creare ponti, soprattutto tra le soggettività più ferite dal dolore e dalla tristezza,; mette in relazione e dialogo gli uomini dando la possibilità di aprire ad alleanze invisibili, resiste nel nostro quotidiano fuori dai confini fragili del nostro “io” e si realizza nella partecipazione intersoggettiva (Borgna; 2013).

Non si tratta perciò di un semplice trasferimento di un set di riflessioni su ciò che è moralmente corretto: essa richiede di partire dal basso, ovvero dal mondo dell’esperienza, assumendo una posizione di ascolto, riconoscimento e non-indifferenza. La responsabilità patica (dal greco pàthos “sofferenza ed emotività”)
credo sia la chiave per iniziare ad esercitare in parte gentilezza e praticare attenzione verso l’altro, verso le concrete vicende biografiche e sociali che incontriamo. Voglio sottolineare il termine patico affinché si comprenda che agire gentilezza non può essere sganciato dal vissuto personale e da un’interazione situata, partecipe e recettiva. Conoscere non garantisce prossimità relazionale: questa ci invita ad uscire dall’ottica dell’altro “generalizzato” e ci richiede invece di considerarne emozioni, interessi, cultura e pratiche per operare azioni fuori dall’ordinario, tutelando il legame sociale (Zamperini, Menegatto; 2011).

Non si tratta di essere troppo buoni, cosa che ci relegherebbe tra i gruppi degli ostracizzati, degli esclusi e ignorati che per appartenere a qualcosa decidono di annullarsi e passivamente obbedire in un concatenarsi di esperienze tragiche (Zamperini; 2010). Il contatto con l’altro non può avvicinarci alla follia, scevro di
qualsiasi limite, piegato in modo ossequioso al divenire e nemmeno manifestarsi attraverso l’urlo gentile che spesso risuona nel vuoto dei dialoghi, come un “So cos’è bene per te!”, tra le maglie delle responsabilità di ruolo, dove il potere che detiene uno soffoca irrimediabilmente le voci dell’altro, che spesso chiede aiuto.

Lo psichiatra Eugenio Borgna ne “La dignità ferita” avvicina la gentilezza ai folli, alle donne incontrate nel manicomio di Novara ed in generale nella sua professione di clinico: un comportamento folle ascoltare e riconoscersi nelle corse spasmodiche degli ultimi anni, tra assordanti egolalie e l’idolatria del successo, fremendo per qualcosa che sia utile, efficiente, produttivo e autonomo.

Eppure, a volte, riconoscere le biografie delle persone, cariche spesso di molto dolore, permette diaccarezzare anche a distanza, creando così un ponte allo stupore e all’azione, indispensabile nelle relazioni di aiuto e in quelle di tutti i giorni per salvaguardare la responsabilità patica.

Così il Professor Ferlini non ha parlato di categorie, nozioni e di come parcellizzare l’umano, ma ha “fatto” di sé indomabile tenerezza ed ha accolto molte storie di persone incontrate, che praticavano fiduciosa gentilezza.

Giorgia Ester Zampieron

Giorgia Zampieron nasce a Cittadella nel 1990 e dagli anni delle scuole medie sa che farà la psicologa, si laurea all’Università degli studi di Padova in Psicologia Clinico Dinamica. Svolge la prima esperienza di tirocinio all’interno del reparto di psichiatria dell’ospedale di Cittadella affiancando la Dott.ssa Cattani Mariagrazia nella conduzione dei gruppi espressivi del SPDC. Negli ultimi anni si avvicina alla realtà della disabilità intellettiva interessandosi allo studio dei movimenti di self advocacy delle persone con disabilità intellettiva, occupandosi nel tirocinio post lauream della raccolta di biografie di persone con disabilità intellettiva lieve. È un apprendista poetessa e ama i suoi gatti.

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